La sentenza della Scolastica: "Quiquid recipitur ad modum recipientis recipitur"/“Ciò che viene recepito da un soggetto lo è secondo la propria capacità recettiva” e il proverbio dell’antica Roma: “Quot nomine (capita) tot sententiae”/“tante opinioni quante persone (teste)”, pare si addicano, quanto mai oggi, alla parola “amore”. Intanto rilevo, con tutta l’immutata stima per E. Fromm, che parlare di "amore immaturo”, sia un ossimoro, come pure di “amore criminale” (omonimo titolo trasmissione RAI).
Per rendere l’idea della soggettività della concezione della parola “amore”, prima che con alcune spiegazioni tecniche, provo con una sommaria rassegna di esemplificazioni tratte dal mondo dell’arte, le cui espressioni vanno da quelle romantiche (nell’accezione comune della locuzione) a quelle dalle conseguenze più tragiche. Per quel che riguarda la difficoltà di rendere l’idea circa il modo secondo cui le connotazioni caratteriali possano condizionare un’opinione, mi viene in mente il personaggio di Rosina (nel rossiniano “Barbiere di Siviglia”), in quella specie di autopresentazione che fa nella sua aria : ”Una voce poco fa”. Anche nel mondo dell’arte pare predomini la connotazione della dipendenza affettiva di tipo simbiotico, a volte, mascherata dal meccanismo della formazione reattiva, per cui si esibisce un comportamento opposto, come da parte della stessa Rosina e ancora più esplicitamente, della bohemienne Musetta : ”Voglio piena libertà… “ Io detesto quegli amanti che la fanno da mariti”.
Il fatidico colpo di fulmine, via sguardo, funge spesso da galeotto per tante storie, come canta Alfredo nel brindisi della verdiana “Traviata”: “…poiché quell’occhio al core Onnipotente va…” e nel racconto di Gilda al padre del verdiano “Rigoletto”: ”I labbri nostri tacquero, il cor dagli occhi parlò”. Suggestivi modi di questo tipo possono raggiungere gradi estremi, come quelli del soggiogamento del cervello nel determinismo anche di tante storie di personaggi della lirica, come per es., Gilda, che potrebbero essere considerate affette dalla Sindrome di Stoccolma.
Per la mutevolezza di questo sentimento, che si maschera ingannevolmente in un’infinità di forme, lo si potrebbe qualificare con la locuzione: “Amore Arsenio Lupin”. “Utopico” per Gigi Proietti, “Eterno, finché dura”, per Carlo Verdone, vissuto come maledizione dallo sposo della storiella umoristica che alla domanda del mago (dal quale si era recato per farsi levare quella che un prete anni addietro gli aveva inflitto) di riferire le parole esatte del prete officiante, rispose: “Vi dichiaro marito e moglie”).
L’”amore” costituisce motivo, a dir poco, di amara frustrazione per la donna che, congenialmente viveall’insegna dei versi del Dolce stil novo (endecasillabi dell’Alighieri: “Donne ch’avete intelletto d’amore” che paiono riecheggiati nell’aria del mozartiano “Don Giovanni”: “Voi che sapete che cosa è amor, donne, vedete s'io l'ho nel cor”), allorché le tocca di rapportarsi con partner maschili che non hanno nel cuore l’atteso amore. Magica quanto bistrattata (come dal personaggio Scarpia della pucciniana “Tosca”, che si mostra in linea con la concezione cinica e maschilista del Duca di Mantova del verdiano “Rigoletto”, nella sua spavalda aria: “Questa o quella per me pari sono”. “Cortese” dal Dolce stil novo, l’”amore” viene drammaticamente difeso dal poeta André Chenier (protagonista dell’omonima, libretto di Luigi Illica, musica di Umberto Giordano). Risentito per le parole di scherno di scalmanati rivoluzionari, arrabbiati per i soprusi subiti dalle caste privilegiate, lusingato dall’”umanamente guardo di pietà” della marchesina di Coligny, Maddalena, difende l’amore a spada tratta con un “Improvviso” rivolgendosi a lei con questi (improvvisati), versi: “Colpito qui m'avete / ov'io geloso / celo il più puro palpitar dell'anima. / Or vedrete, fanciulla, qual poema / è la parola "Amor," / qui causa di scherno!”. E sempre rivolgendosi a lei che aveva “guardato siccome a un angelo”: “Non conoscete amor, /amor, divino dono, no lo schernir, / del mondo anima e vita è l'Amor!”.
L’attribuzione di onnipotenza al sentimento dell’amore si riscontra nelle virgiliane “Bucoliche”: “Omnia vincit Amor” (ricordo che goliardicamente, noi ragazzi, in considerazione che il potere seduttivo di Elena di Troia aveva mosso 10.000 navi, misuravamo in “milli-elen” quello delle ragazze dei nostri “safari”);
Di assoluta dipendenza, spesso foriero di tragedie, da quella della tragica storia di Didone a quella di Desdemona del verdiano “Otello”, dramma tragico, emblematico degli attuali femminicidi. Tale tipo di aggressori si potrebbe riconoscere nei versi della canzone di Pino Donaggio: “Io che non vivo più di un'ora senza te/ come posso stare una vita senza te/sei mia/sei mia …”. La connotazione di possessività sulla figlia pare rasenti il rapporto incestuoso, nella canzone “Torna piccina mia..” di Bixio) e del verdiano “Rigoletto”.
Piuttosto che parlare di affetto e di amore, preferisco parlare di legami affettivi e di valenze relazionali, che potranno spiegare i motivi per cui, nell’anagraficamente e fisicamente adulto, persistono connotazioni relazionali proprie della prima infanzia, quali dipendenza da una sola persona e possessività esclusiva della madre, percepita come la parte di sé che rassicura, fungendo da complemento per le fisiologicamente carenti competenze del proprio Io. Quindi in ogni perdita di contatto, venendo percepita come pericolo di rimanere in preda a ogni evenienza, il centro della paura (l’amigdala allarmata) scatena reazioni che vanno da quelle della fuga e lotta ai loro equivalenti. Nell’anagraficamente e fisicamente adulto, la persistenza del tipo di rapporto simbiotico, potrà dar luogo a investimenti perfino ideologici, e religiosi (da qui i fondamentalismi?), per cui ci si può aggrappare a una fede come alle gonnelle della mamma, attachment che si porta dietro le connotazioni del rapporto primario.
Madre Natura, in ogni modo, mostra intransigenza nell’assicurare le finalità operative di questo sentimento, soprattutto nella sua funzione di continuità della specie: mentre, mediante la secrezione di neurormoni, appunto del piacere e della salute, quali le endorfine, remunera i relativi comportamenti con sensazioni gradevoli, scatena pure reazioni da Nemesi allorché, detta funzione venga sottovalutata, o peggio repressa, bistrattata. Non solo, ma ha provveduto tempestivamente ad assicurarla sessuo-genitalmente, pure mediante strutture anatomiche, quale il prepuzio che facilita, nel maschio l’autoerotismo preparatorio (come peraltro il ciucciare, esercitato sin dal secondo mese di vita intrauterina).
Nel parlare di amore, allorché ci si riferisce a quello fisico, materiale, in termini tecnici: coito, copulazione, per non turbare la sensibilità di interlocutori più pudichi, si suole evitare le ben conosciute e locuzioni volgari o/e, adoperare espressioni velate, quali: amplesso, fare all’amore, rapporti intimi.
Le conseguenze più nefaste di fraintendimenti di questa parola appaiono quelli di tanti rapporti tra genitori e figli, quali il ritenere i figli come oggetto di esclusivo perenne possesso o, strumentalmente, come “bastoncino della propria vecchiaia”. Pare sia evenienza alquanto frequente la discrepanza tra la concezione femminile e maschile riguardo la sessuo-genitalità: per la donna pare prevalga, come conditio sine qua non, che per i rapporti intimi, vi sia l’integrazione fra sessualità fisica e quella affettiva, mentre nei maschi si mostra frequente la condizione opposta, nel senso che nell’atto sessuale prevale l’esigenza di svuotare le vescicole seminali senza alcun coinvolgimento affettivo. Ne consegue che per la su menzionata femminile esigenza, venendo meno, anche per l’organismo della femmina, la salutare scarica delle quote bioenergetiche naturalmente destinate alla funzione sessuo-genitale, lei rischierà conseguenze pregiudicanti il suo benessere, giacché l’apparato neuro-psichico, divenuto così in condizione di overloading, tenderà alla ricerca di altri canali di scarica, da quelli extraversivi a quelli auto implosivi.
Per quel che concerne il senso del pudore connesso con l’aspetto fisico dell’amore, appare significativo che nelle società dove si convive nature, la nudità non genera né vergogna né tantomeno viene censita da norme di legge, né reazioni di pubblico scandalo. Nel nostro ambiente socio-culturale, sistema sociale su base monetaria, invece, non solo dà luogo a reazioni più o meno accentuate di vergogna per il proprio corpo da parte del singolo individuo, ma provoca pure reazioni di riprovazione da parte dei concittadini, mentre viene sancito come immorale e peccaminoso dal mondo della religione e sancito (fino a poco tempo fa, penalmente, in seguito, amministrativamente) da ben precise norme di legge.
Diverse condizioni possono disturbare il menage familiare: la conflittualità tra i vantaggi dello stare insieme e l’esigenza di privacy, cioè di un proprio spazio psico-emotivo (v. di Edward Hall “Prossemica” o questa voce su internet), a volte coperta da pseudo mutualità, potrà esser dovuta a rivalità da fame di mamma anche dei due partner coniugali-genitoriali, che dà luogo a fenomeni come quello dellainversione dei ruoli. La simbolica rappresentazione di tale figura come oggetto transizionale, riscontrandola nel cibo, nel denaro e dei beni, potrà indurre il soggetto a trasferire su tali oggetti i problemi relativi alla madre. Per una più approfondita conoscenza di ciò che, a nostra insaputa avviene nei rapporti coniugali (v. di Eric Berne: “A che gioco giochiamo”).
Vomitevole la concezione dell’amore di una nonna che “amava” tanto il nipotino che, oltre a desiderare di mangiarselo di baci, se lo strusciava addosso nudo sul proprio corpo nudo! Sarà stata questa la goccia traboccante il vaso, che mi ha indotto a bandire la parola “amore”?
Nella nostra quotidianità, questa magica parola, pare sia tra le più pronunciate: nella letteratura, da quella in prosa e quella in versi, rappresentando il motivo predominante delle relative produzioni. Nel mondo scientifico, fa l’ingresso con John Bowbly, nel suo: ''Soins maternels et santé mentale”: Contribution de l'Organisation Mondiale de la Santé . Tenuti soprattutto in debito conto gli ammonimenti del “profeta”, Kahlil Gibran, occorre tenere ben presente che il prodotto dell’amore coniugale, come degli altri viventi, è naturalmente programmato per avere e difendere una propria identità (V. fase dell’opposizione e dei dispetti). L’impropria gestione dei relativi comportamenti oppositivi, provocatori, capricciosi (v. nel sito ww.pierluigilando.net l’intervista: “Caprici come messaggi” che rilasciai a Daniele Passanante), potrebbe dar luogo a problemi ricadenti, non soltanto su tutti i propri simili, bensì pure sugli altri esseri viventi, nonché sull’ecosistema naturale. Quindi sarà a proprio rischio e pericolo, nonché dannoso per la personalità del/la figlio/a pretendere che il/la figlio/a corrisponda a un modello prestabilito che sia conforme alle proprie attese narcisiste.
Per dare affetto si suole fare smancerie, leziosaggini, sbaciucchiamenti. Tra le più pregiudizievoli conseguenze di metodi di allevamento impropri sulla personalità della prole umana, quelle che vanno dai “bamboccioni” ai “fracchia”, frequenti vittime di bulli, questi pure probabili vittime di dinamiche familiari come pure i “bastian contrari”, nel ruolo di pazienti designati. Pare che, particolarmente nel nostro Bel Paese, partorire psicologicamente un figlio sia un travaglio che può durare tutta una vita! E la Famiglia è esaltata, divinizzata, mitizzata, mentre appare caratterizzata da fenomeni come familismo e mammismo.
Da quanto esposto dovrebbe risultare chiaro che chi intenda coronare il proprio sogno di amore mettendo su famiglia, dovrebbe essere consapevole che: nel/la partner, anagraficamente e fisicamente adulto/a, per quanto riguarda il tipo di rapporto, potranno prevalere tratti di quello primario, per giunta con conti da regolare, l’un contro l‘altra armati, per cui sarebbe indicata una tempestiva “anamnesi familiare” dei rispettivi gruppi familiari di provenienza, che potranno ricadere sui propri figli generati per un perverso meccanismo di coazione a ripetere.
In base a quanto sta emergendo dalleScienze umanistiche, dalle Neuroscienze e dalla constatazione storica, per ottenere una “persona a modo”, ossia un/a cittadino/a come pure un/a partner in grado di relazionarsi in modo soddisfacente, nonché di allevare in modo altrettanto soddisfacente i propri cuccioli, non giovano tanto le intenzioni, i messaggi verbali, poiché anche il loro destino coniugale inizia ad avere le relative opportunità sin dal loro concepimento. Se riteniamo credibile il luogo comune che “gli animali sono migliori degli umani” (proprio poco fa ho visto su Facebook un’immagine di un toro, già più volte ferito dal torero, che, al momento in cui questi si accascia per un malore, si ferma in un atteggiamento compassionevole), ciò è attribuibile a strutture e umori umanizzanti (guarda caso i neuroni specchio sono stati scoperti, prima che nel “sapiens”- ancora potenzialmente, negli animali), che favoriscono un armonico metabolismo bioenergetico, sviluppo su cui, fondamentalmente, influisce lo stato bioenergetico dell’organismo della madre.
Pertanto, affinché messaggi e quant’altro si è tradizionalmente tentato per avere “persone a modo” non rimangano voce nel deserto, tenuto conto che il più intimo dei rapporti cessa di essere tale allorché produca un nuovo essere umano, è di preliminare importanza la preparazione bio-psico-relazionale degli aspiranti genitori. Essi dovrebbero essere consapevoli che il legame coniugale comporta una limitazione della libertà di ambedue i partner (con buona pace del Duca di Mantova che canta: ”Non v’è amore se non v’è libertà”) e chenon sarà garantita neanche la soddisfazione della sedatio concupiscientiae (v. impotenza relativa, frigidità relativa e fuga da un rapporto coniugale, vissuto come incestuoso, verso quelli extra), per predominante permanenza di valenze relazionali del legame primario.