DRAMMATICHE STORIE DI DIPENDENZA AFFETTIVA NELLA VITA E NELL’ARTE

        I mass media ci raccontano sconvolgenti drammi come quelli delle violenze contro le donne, nella loro più cruda realtà. Proprio in questo periodo vengono denunciate le funeste conseguenze sui figli, indicando la spaventosa cifra di 750 mila bambini vittime di drammatici conflitti coniugali-genitoriali. E non solo essi rischiano di rimanere in prima persona gravemente segnati per il resto della loro vita, ma le su menzionate conseguenze si potranno ripercuotere anche su chi avrà a che fare con loro: per un meccanismo psicopatologico di identificazione con l’aggressore, essi stessi potranno divenire i futuri protagonisti di violenze contro le “proprie” donne.
In questo scritto si ricorre ad analoghe storie, per lo più oggetto di drammi riportati da perspicaci osservatori della realtà umana che, mirabilmente, le hanno tradotte in opere d’arte.
          Si mostra così come per tali fattacci, sia attuale la locuzione biblica: ”Niente di nuovo sotto il sole”.  Uno dei massimi drammaturghi di questo mondo, qual è Luigi Pirandello, aveva notato che la fantasia propria dell’opera d’arte, oltre a rispecchiare la realtà,  viene a volte da questa superata.
           Si centra l’attenzione in particolare sul dramma verdiano Rigoletto, perché sua figlia Gilda, non solo ci si presenta in una  condizione di assoluta dipendenza affettiva, condizione determinante tanti femminicidi,  ma pure conferma il preminente ruolo degli occhi, comunemente e scientificamente  noto, nell’innamoramento. Nel raccontare al padre dove e come aveva subito la fatale fascinazione nei confronti del Duca che, in “Tutte le feste al tempio” si era presentato come “studente, povero…”, dice: “Se i labbri nostri tacquero, il cor dagli occhi parlò…” L’affranto padre, nel constare l’irriducibile (tale termine in psichiatria è sintomo patognomonico di delirio paranoico), condizione di innamorata della figlia,  esclama: “Povero cor di donna”.
          Espressione che ancora oggi, nel venire a conoscenza di storie di tante donne-Gilda, vittime di “amore malato”, ci risuona in fondo all’animo.  Rigoletto, buffone di corte del Duca di Mantova, per esperienze già fatte circa le avventure amorose del suo padrone, presumendo che anche la sua Gilda ne fosse rimasta vittima, dopo aver inveito contro i “Cortigiani vil razza dannata”, in un estremo tentativo di scuotere la loro cinica coscienza, li aveva supplicato dicendo: “Ridate  a me la figlia, tutto al mondo la figlia è per me”.  Nel constatare che la figlia, nonostante stuprata da questo gaudente suo padrone, era rimasta ostinatamente innamorata, prova ancora a recuperarla da quello stato in cui si perde la testa, chiedendole: ”E se tu certa fossi ch’ei ti tradisse, l’ameresti ancora?”. Quindi riesce a provocare in lei una reazione di indignata gelosia contro l’amato, facendole constatare che lui stava spudoratamente amoreggiando con Maddalena, sorella e complice del sicario Sparafucile (da Rigoletto assoldato per appagare il suo solo desio di vendetta, “tremenda vendetta”), Ma tale reazione è durata appena per convincersi a fuggire a Verona con abiti maschili, lasciando di nuovo spazio al suo precedente stato d’animo, allorché il sicario stava per eseguire la truce commissione. Quindi si immola, sacrificando la propria vita per chi, anche Maddalena, indicandolo al fratello come: amabile, bello, che somiglia a un Apollo, lo convince a eseguire l’ordine su un’altra possibile vittima. Sentito questo discorso, Gilda decide di sacrificare se stessa, facendosi credere come un pellegrino richiedente rifugio per la tempesta che stava imperversando.   
          A proposito dell’aria: “La donna è mobile”, dai librettisti assegnata al “farfallone amoroso” Duca, sa tanto di paradossale ironia. Se, come sembra evidente, tale assegnazione è stata intenzionale, sarebbe di conferma che librettisti e compositori siano fini, profondi conoscitori dell’animo umano. Paradossale si mostra l’affermazione del Duca: “schiavo son dei vezzi tuoi…”, pur anche emblematica per tanti altri uomini di potere, schiavi di ambivalenti sentimenti nei confronti della figura femminile: mentre, baldanzosi, esibiscono la loro posizione di potere, angelicandola, nel contempo l’avvertono come irraggiungibile e si sentono frustrati perché non riescono ad averla in proprio assoluto potere.   

          Emblematico di questo atteggiamento, a dir poco maschilista, si mostra il personaggio Scarpia nella pucciniana Tosca. La protagonista, dopo averlo ucciso, esprimendo la sensazione di sollievo da parte di quanti da lui vessati, pronuncia la celebre frase: “Davanti a lui tremava tutta Roma”. Ipocritamente osservante, bigotto, cinico (e chi più ne sa di lui più ne metta), si serviva strumentalmente del potere che, come capo poliziotto della Santa Sede, esercitava anche sulle donne che incappavano nelle sue grinfie. Ma, allorché, come un cobra, era riuscito ad avvelenare (egli stesso si gloria dicendo fra sé: “Il veleno l’ha rosa”) la “diva” Tosca, facendole credere che il suo amante l’aveva tradita, nel vederla in lacrime, verde d’invidia, come un bamboccio indispettito (perché si sente non considerato e impotente di fronte alla donna che desiderava di avere in suoi potere), si mostra come un mendicante d’amore, e confessa:”Darei la vita per asciugar quel pianto”.                                                                       

          La popolare espressione: “perdere la testa” per un/a innamorato/a che appare supercarico/a di irrazionalità anche agli occhi di un profano, oggi risulta neuro-scientifcamente dimostrata, giacché il suo stato neurormonale si mostra simile a quello di un soggetto drogato.
Purtroppo, la tragica  sorte di Gilda, non costituisce un evento eccezionale e ciascuno di noi potrà riscontrare analoghe storie nella propria quotidianità, come pure nella storia antica (basti pensare a Cleopatra e Didone), recente e nella cronaca dei nostri giorni. Tra i più noti (specialmente ai melomani) drammi riguardanti personaggi che hanno perso la testa per una donna, il principe Kalaf della pucciniana Turandot).  Ad altri è costata la stessa vita, oltre a tanti principi aspiranti alla mano di Turandot che non erano riusciti a indovinare i sui tre enigmi (tra cui “il principe di Persia che avversa ebbe fortuna”), Radames per Aida, Turiddu per Lola, Cavaradossi, in fondo, perché per Tosca, si trovò rivale di Scarpia.

         Per tanti paradossali fenomeni di assoluta dipendenza psicologico-affettiva che si mostrano in specie in donne  invaghite per un partner vessatore, si potrebbe riconoscere una condizione analoga a quella di alcune donne vittime nei lager nazisti che, in psichiatria, è nota con  la locuzione: “Sindrome di Stoccolma”. Tale sindrome la si può riscontare pure in tragici drammi coniugali in cui tanti uxoricidi-suicidi pare seguano, come  prototipo, quello del verdiano Otello che, appunto, rivolse  contro se stesso, il pugnale con cui aveva appena ucciso la sua amatissima moglie Desdemona.

         Una delle più ingannevoli forme secondo cui si intende il cosiddetto amore è quella in cui questo sentimento sia connotato di possessività che, viepiù, con l'età, si carica di micidiale gelosia, determinante nel determinismo di femminicidi!  Il personaggio Santuzza (Cavalleria Rusticana musicata da Pietro Mascagni),  nel sentirsi da lui rifiutata, abbandonata e tradita, giunge ad augurare "la mala Pasqua") all'"amatissimo Turiddu”! (v. nel sito “Perché ho bandito la parola amore dai miei scritti” e “Sentimenti come le nuvole”).

         Nonostante le tante iniziative che, oltre a quelle sul piano giuridico, si attuano empaticamente anche con numerosa ed intensa partecipazione a plateali manifestazioni, per tante donne ci ricorda la su menzionata amara espressione di Rigoletto: ”Povero cor di donna!”. Come per tanti altri indesiderati fenomeni, la loro persistenza pare, eco-psico-socialmente, attribuibile alla mancata e debitamente informata considerazione di condizioni e di fattori implicati nelle rispettive dinamiche. In proposito, si rileva ancora una volta come per i femminicidi, si mostrino inefficaci i tanti provvedimenti, giacché non tengono in debito conto la predominante pregiudiziale condizione, cioè della estrema dipendenza affettiva del figlio da una madre ritenuta come  responsabile di averlo “abbandonato” e “tradito”. Quindi, la coatta voglia di un tale figlio, ancora in persistente fase simbiotica di “regolazione di conti” che, per smaltire la mal repressa rabbia, avviene, di solito, contro una prescelta partner, rabbia che lo  induce a regolare i conti pure contro chi gli ha sottratto le esclusive cure materne (v. voglia coatta di figli a ogni costo).
          L’attuale crescente fenomeno dei single (donne che rinunciano alla maternità o la rifiutano decisamente, uomini che evitano di coniugarsi) fa pensare che, oltre a persistenti condizioni di dipendenza affettiva (fisiologica nei primi tempi di vita), si debba prevalentemente alla diffusione di scoraggianti messaggi circa “effetti secondari indesiderati” della coppia coniugale. Donne deluse o peggio, dal tanto sognato partner, crescente esercito di uomini separati che finiscono in condizioni di indigenza; per ambedue: problemi riguardo il rapporto con i figli, specialmente con partner straniero/a, ancora di più se di religione diversa. Il cosiddetto boom dei matrimoni misti sarà da considerarsi come un sintomo patognomonico e prodromico dell’attuale tendenza a evitare la coniugalità, come un estremo  espediente per provare altrove? A tali messaggi sarà pure da attribuire “la  preferenza” per rapporti omosessuali?
          Tra le più probabili demotivanti ragioni per combinarsi in coppia coniugale potrebbe essere la consapevolezza che essere in coppia non solo non assicura definitivamente  la sedatio concupiscentiae, ma neanche l’eventuale problema di solitudine che, anzi, potrebbe complicarli, giacché ogni alterativa sarebbe a rischio e pericolo per la stessa coppia.
           In definitiva si ribadisce la proposta più volte avanzata della disponibilità di adeguati servizi territoriali in grado di aiutare i nubendi che, invece di recepire in senso demotivante le su menzionate notizie negative riguardanti la coppia coniugale, giovino da stimolo per una tempestiva, responsabile, doverosa preparazione per mettere su famiglia.