UN APPROCCIO EPISTEMOLOGICO ALL’OMEOPATIA
In una delle più recenti e autorevoli pubblicazioni di argomento epistemologico (*) Laudan (**), professore all’Università di Pittsburgh, affronta con un taglio e una visione personali (anche rispetto ai suoi grandi maestri: C. G. Hempel, T. S. Kuhn, Gerd Buchdal, Paul Feyerabend, Karl Popper, Imre Lakatos, Adolph Grunbaum) la complessa questione dei rapporti fra le varie teoriche e la “tradizione di ricerca”, vuoi delle idee e teorie “esterne”, cioè rifiutate o ignorate dalla scienza ufficiale, vuoi delle teorie generali o principali, “interne” alla tradizione di ricerca. Fra le teorie “rigettate”, lo stesso autore cita l’omeopatia.
La scienza ufficiale, attardata su problematiche di marca positivista, sembra orientata decisamente alla soluzione di problemi empirici, conseguendo successi in quanto, “attraverso le sue teorie componenti, porta alla soluzione adeguata di un numero sempre maggiore di problemi empirici e concettuali”.
Laudan precisa che “Determinare se una tradizione ottiene successo in questo senso, non significa, ovviamente, che essa sia stata “confermata” o “confutata”. Né una tale valutazione può dirci alcunché sulla verità o falsità della tradizione.
Lo stesso autore continua rilevando che “ammettere come almeno alcuni specificati sviluppi nella storia della scienza siano stati razionali” [...] “resta interamente una questione di fede, perché, in linea di principio, non esiste alcun modo per provare che questi casi siano razionali, dato che il nostro criterio di razionalità dovrebbe assumere la loro razionalità come fuori discussione”. Dei criteri di valutazione di una teoria, sembrava si fossero affermati quelli che s’ispiravano alla razionalità aristotelica e all’oggettività empirica galeliana.
E’ nota la fortuna che di recente aveva trovato il principio di falsificazione di Popper e, tuttavia, al presente, esso sembra invalidato dalle argomentazioni di Laudan (*), il quale evidenzia anche l’ingenuità di quanti credono nell’autonomia disciplinare (come, ad esempio, Forman) e sono convinti che gli scienziati siano relativamente liberi di ignorare le specifiche dottrine e le simpatie del loro contesto intellettuale, allorché godano di grande prestigio, per la loro opera, presso il loro ( o, comunque, presso il più importante) contesto sociale. “Poiché è loro assicurata l’approvazione, non hanno pressioni esterne, sono liberi di seguire la pressione interna della disciplina”.(***)
Ma se le implicanze bio-psico-emotive sono tanto pesanti e coinvolgenti, perché l’allopatia continua a incontrare tanta fortuna e a essere così diffusamente usufruita, nonostante le crescenti e autorevoli denunce, rivelazioni e, anche, ammissioni sui prevedibili, probabili e persino certi danni, più o meno a breve scadenza, provocati dai medicinali allopatici?
Tra i motivi psicodinamici più comunemente chiamati in causa e più suggestivi, potremmo ricollegarci a quelli per i quali l’uomo sarebbe masochisticamente e coattivamente portato all’autolesionismo.
In proposito la posizione eco-psicologica sembra coincidere con quella omeopatica, nel senso che l’alterazione della reattività emozionale soggettiva è dovuta, oltre che agli inquinamenti diatesici, a esperienze incongrue, traumatiche. In altre parole, tutto ciò che nel corso dei primi tempi di vita non sia stato in sintonia con il progetto personale, nella sua inscindibile unità somato-psichica, ha finito per alterare gli atteggiamenti e i comportamenti.
Tali alterazioni si ripercuotono perfino sulle personalità acculturate sul piano razionale scientifico. Putroppo, sia pure con le migliori intenzioni, ancora non sono rari i metodi cosiddetti educativi punitivi, improntati a eccessiva severità. Questi, una volta introiettati, tendono a rivolgersi contro se stessi.
L’assunto eco-bio-psico-sociale, confortato dalla teoria miasmatica omeopatica, che più o meno tutti siamo organismi inquinati e in tensione, unitamente alla Teoria dei tre cervelli di Paul MacLean, può darci ulteriori spunti per chiarire le componenti irrazionali da parte di persone del mondo scientifico dalle quali, così come sono note per antonomasia, ci aspetteremmo esenti da istanze primordiali o per lo meno sufficientemente immunizzate nei loro confronti.
Lo studioso statunitense, direttore di uno dei più prestigiosi istituti di ricerca comparata sul cervello, nel livello di organizzazione più ancestrale, cioè nel cosiddetto cervello da rettile, ha individuato ben 24 modelli comportamentali di base tra i quali quello della predominanza gerarchica e della territorialità.
Data la presenza di altri due livelli di organizzazione cerebrale e, in particolare, del neopallium che, con i suoi lobi orbito-frontali (costituenti il cervello immaginante-creativo), viene ad assumere la posizione più avanzata nella filogenesi, vi è da aspettarsi che i su accennati comportamenti si possano manifestare in modo non più stereotipato ma più elaborato e simbolico.
In base a queste possibilità di elaborazione, l’istanza di territorialità si manifesterà come campo di competenza (burocratica, scientifica ecc.), mentre quella di predominio non solo può motivare una scelta vocazionale, ma anche un atteggiamento dispotico usando la competenza scientifica.
Un classico esempio di una tale evenienza è lo scontro che a suo tempo avvenne tra il già affermato, dominante Wirchow e il nuovo arrivato astro emergente Robert Kock.
L’atteggiamento dell’eminente clinico, che teneva autorevolmente in pugno la leadership nel mondo medico del suo tempo, ricorda - absit iniuria verbis - quello del capobranco allorché si presenta un nuovo pretendente per il possesso dello stesso branco, terrirorio e di quanto sino a quel momento era sotto il dominio del grande vecchio.
Fenomeni analoghi si sono verificati perfino nell’ambito dei rapporti tra Freud e i suoi più cari e stimati allievi, allorché ciascuno di loro (da Jung e Adler a Reich) e si presentò, non più con la livrea di cucciolo (allievo), ma con quella di un adulto, con le proprie idee.
Più di recente, simili incidenti si sono verificati nella Società Psicoanalitica Italiana che hanno comportato l’espulsione di tre psicoanalisti dissidenti sul piano teorico, sia pur disposti al confronto delle proprie idee espresse in proprie pubblicazioni. Non mi dilungo in proposito anche perché se n’è avuta ampia eco sulla stampa.
Nei termini di una visione integrata, avremo un assunto che mi sembra sintetizzi in modo armonico le basi dei la scienza omeopatica e le ipotesi eco-psico-sociali:
L’inquinamento miasmatico dei substrato bio-somato-psichico, oltre a dar luogo a diatesi e disfunzioni organismiche, disturberebbe anche i livelli considerati più elevati delle operazioni umane, esasperando, ad esempio, l’esigenza di sicurezza e di predominio.
In effetti, un’economia organismica in tensione porterebbe ad assumere atteggiamenti surrogatori di sicurezza, mediante posizioni di rigido dogmatismo anche in campo scientifico, dove il dialogo degenererebbe, per gli stessi motivi, in barricamenti contrapposti di tesi e antitesi.
A un attento esame, illuminato da recenti conoscenze sul funzionamento del nostro cervello, in questi atteggiamenti irrazionali, come in tanti altri, sono riconoscibili ancestrali istanze biologiche (emergenti dal cervello da rettile, secondo MacLean) che, nella nostra specie, si esprimono non in modo stereotipato e concretamente riferibile a un territorio o a un partner ecc. - come negli animali - ma, grazie alla capacità di elaborazione acquisita dal cervello dell’Homo sapiens attraverso l’evoluzione filogenetica, si esprimono, dicevo, in un’infinita gamma di forme comportamentali, si che riconoscere la natura delle motivazioni può risultare molto arduo anche per l’addetto ai lavori.
Il campo scientifico, il settore di ricerca diviene di conseguenza pregnante per i significati simbolici, atti a scatenare. “incomprensibili” e “paradossali” reazioni emotive, anche da parte di razionali e intelligenti uomini di scienza. Quanto a suo tempo avvenne tra il prestigioso Wirchoff e il nuovo arrivato astro emergente, Robert Koch, può chiarire esemplarmente il fenomeno, poiché l’atteggiamento dell’eminente clinico-absit iniuria verbis-che teneva autorevolmente in mano la leadership del mondo medico del suo tempo, ricorda anche se da lontano quello del capobranco allorché si presenza un nuovo pretendente per il possesso e il predominio nei confronti del branco, del territorio, della partner, ecc.
La consapevolezza dell’universalità e della forza di tali istanze (di base) può, intanto, apportarci due apprezzabili vantaggi:
- indurci ad assumere un più sentito e convinto atteggiamento di umiltà;
- aiutarci a resistere meglio alla tentazione di ricorrere a rassicurazioni fittizie, a espedienti di predominio, più di disponibili quindi all’esame e alla verifica critica di nuove ipotesi, ossia a essere meno “burocrati” della Scienza, così detta ufficiale o tradizionale.
In conclusione, se l’accettazione, la scelta o il rifiuto di una teoria,il modo di concepirla e di utilizzarla nella prassi - così come una scala di valori o uno stile di vita - sono correlabili alla struttura caratteriale della nostra personalità (come storicamente e dinamicamente si è formata e come è portata fenotipicamente a esprimersi),allora il compito che si spetta è molto più complesso e a lungo termine di quello che, oggi e con il cuore, vorremmo.
Se poi teniamo presente che anche per questo aspetto della nostra realtà varrà l’adagio: "Praestantius est prevenire quam curare", forse sarà opportuno e saggio ridimensionale le nostre attese, non per cedere a un andazzo, ma per sintonizzarsi con i tempi di un processo fisio-psico-patologico da orientare verso una METANOIA necessariamente laboriosa e che, come tutti i processi vitali, avrà le sue tappe, le proprie crisi evolutive, gli ostacoli da superare,sia all’interno che all’esterno.
A tal fine, abbiamo soprattutto la preziosa eredità di Hahnemann, con i suoi insegnamenti e relativi rimedi, capaci di liberare noi e quindi le future generazioni dai miasmi pregiudicanti il nostro essere e divenire, somato-psichico e relazionale.
(*) Epistemologia (dal Lessico Univ. Ital. dell’Ist. Enciclop. Ital.): dal greco: Episteme = conoscenza scientifica - “Termine filosofico designante quella parte della gnoseologia che studia, la struttura, la validità, i limiti della conoscenza scientifica. Più precisamente, indagine critica intorno non al contenuto di una singola scienza (che è la materia di cui si occupano le scienze particolari), ma la struttura logica della scienza, che è compito proprio della filosofia della scienza”.
(* *) Larry Laudan: Il Progresso Scientifico, Prospettive per una nuova teoria, Ed. A. Armando, Roma, 1979.
(***) Era stato Kuhn a chiamare esplicitamente in causa “Le pressioni esterne” come contrappeso a un “processo di valutazione razionale che si svolga all’interno della stessa disciplina”. Altrettanto irrealisticamente ottimista (ingenuo?) appare il punto di vista dello stesso Kuhn e di Lakatos “secondo cui esistono due tipi di scienza radicalmente diversi, corrispondono approssimativamente agli stadi “iniziali” ed “avanzati” dell’attività scientifica”, ossia che, richiamandosi a dati storiografici, la porterebbero a un’evoluzione verso la ”maturità” (post-paradigmaticità, per Kuhn).
Per economia di tempo devo tralasciare la tematica generale, di fondo, ma, prima di focalizzare l’obiettivo sul campo medico, ritengo opportuno sottolineare quanto Emanuele Riverso - il quale ha curato la traduzione dell’opera di Laudan - afferma nella presentazione dello stesso libro: “In quanto la realtà concreta umana può essere come dominata essenzialmente dalla preoccupazione e dal bisogno di risolvere problemi, la prospettiva del Laudan può apparire come capace di offrire una versione del sapere scientifico e del suo divenire, che sia autenticamente umana, e di ricondurre le scienze alla loro matrice umana”. E conclude: “La spinta a risolvere problemi intellettuali è almeno tanto forte, tanto profonda e tanto universale; quanto lo è la spinta a procurarsi mezzi di difesa e di sussistenza.”
Ho voluto relativamente abbondare in citazioni per inquadrare meglio e più sinteticamente la tematica medica generale e, specificamente, quella omeopatica, alla cui posizione (epistemologica) è accostabile la visione umano-personalistica di quell’indirizzo psicologico con temporaneo indicato da Maslow come “Terza Psicologia”, ossia psicologia olistica, della persona globalmente intesa (Riverso, nella stessa presentazione, commenta: “Non si può negare che una tale conclusione, andando ben al di là della problematica scientifica, ci rinvia ad una concezione dell’uomo che deve avere un’ampiezza ed una profondità capaci di ricordare l’umanismo e il personalismo olistico del Maslow”.).
Intanto, sotto il profilo psicologico, mi sembra di preminente importanza rilevare come una teoria medica abbia implicanze emotivamente più pregnanti, rispetto ad altre concernenti domini scientifici diversi, dove componenti pre e meta-relazionali toccano meno da vicino e meno massicciamente la nostra personalità.
Per inciso, le componenti irrazionali delle teorie scientifiche sono state, di recente, indicate esplicitamente da Kuhn, ma la loro presenza è riscontrabile sin dalle origini della scienza. Oggi, accettare un paradigma scientifico significa accettare non solo “uno schema o modello di organizzazione dell’interpretazione della realtà e della esperienza” (Laudan), ma anche le conseguenze operative che, nel caso della medicina, sono dirette, in modo più o meno controllabile, verso l’insieme somato-psichico proprio, dei nostri familiari e di tutte le persone della cui salute si è in qualche misura responsabili.
In proposito, basterebbe pensare al diverso atteggiamento della medicina allopatica e della medicina omeopatica nella valutazione dei farmaci, degli effetti e, soprattutto, delle loro modalità d’azione.
Tempo fa, mi è capitato di trovarmi sorpreso nel leggere su una rivista allopatica delle gravissime, possibili conseguenze prodotte dalla Cimetidina; mi cono chiesto come e perché una ditta farmaceutica seria potesse con tanta disinvoltura diffondere dati così compromettenti ed allarmanti: che effetto avrebbe avuto sui medici o, peggio, su eventuali lettori profani?
Mi sovvenne come il medico allopatico (fra cui me stesso fino ad alcuni anni fa) sia sufficientemente immunizzato contro simili notizie, dato che durante il corso di laurea apprende un atteggiamento e un modello di reazione nei confronti degli effetti indesiderati dei farmaci - si dà per scontato che, oltre che etimologicamente, a tutti gli effetti siano dei veleni - che consentono un ampio margine di tranquillità d’uso - sul piano clinico e commerciale - a una vasta serie di sostanze allopatiche.
Com’è noto a chi partecipa a questo consesso, gli effetti secondari indesiderati non hanno patria nell’omeopatia e ciascuno di voi potrebbe sottoscrivere che solo un male informato potrebbe riscontrare qualche analogia tra l’effetto secondario tossico del medicinale allopatico e la reazione vitale dell’aggravamento omeopatico.