I RIMEDI OMEOPATICI SONO ACQUA FRESCA?
Intorno ai quaranta anni per la prima volta mi venne mostrata una ricetta omeopatica da parte di una collega di ufficio affetta da fibromiomi e, anche se mi trattenni dall’esprimere la mia più assoluta e convinta disapprovazione, internamente la mia reazione era in linea con chiunque si riconoscesse nei dogmi della scienza ufficiale.
La stessa signora mi dette un numero di una rivista di omeopatia che io ignorai, ritenendo una perdita di tempo perfino sfogliarla. Alcuni anni dopo, me la ritrovai nella tasca interna in una ventiquattrore mentre ero in volo per Messina, per rappresentare l’Ente presso il quale prestavo la mia attività lavorativa, alla manifestazione della Giornata per la Lebbra. Non avendo altro da leggere, le detti una scorsa.
Subito dopo la manifestazione, mi trovai a parlare di omeopatia, con il leprologo francese che era presente per l’occasione. Egli mi disse che, da fonti attendibili, aveva avuto notizia di alcuni casi di lebbra curati con successo e con rimedi omeopatici. La cosa non mi smosse più di tanto dalle mie ben salde convinzioni scientifiche. Né mi indusse a ricredermi la constatazione di numerosi casi clinici curati con successo con questa medicina, anche in bambini molto piccoli (una delle quali affetta da una grave insufficienza immunitaria) e in animali (tra cui una tartaruga intossicata con un antiparassitario). Nel corso della mia pratica medica, avevo avuto modo di constatare diversi casi di guarigione spontanea o per evidente effetto placebo.
Paradossalmente, invece, sono rimasto colpito da diversi casi di cosiddetta patogenesi, vale a dire di effetti negativi generati da rimedi omeopatici in persone che li avevano assunti a sproposito, per periodi prolungati o in dosi inappropriate. Premesso che le stesse sostanze che a dosi ponderali possono causare sintomi tossici così come sono trattate nei rimedi omeopatici si dimostrano in grado di risolvere sintomi analoghi, ecco alcuni casi:
Una ragazza di una diecina d’anni aveva bevuto in un’unica volta una soluzione di dieci granuli di Belladonna 6CH che invece avrebbe dovuto assumere, a piccoli sorsi, ogni quattro ore, in tre giorni.
Poco dopo, ebbe una crisi di agitazione psicomotoria, con sensazione di stare impazzendo e allucinazioni corporee (tra l’altro che le dita delle mani divenivano sempre più sottili e che rientravano nelle stesse mani).
La crisi durò una diecina di minuti e, poi, gradualmente, si risolse spontaneamente.
Ebbi modo di osservare una signora che, mentre scendeva dalla sua macchina, si comprimeva l’addome, evidentemente per il dolore che (come lei mi riferì) avvertiva intorno all’ombelico. Di sua iniziativa, da un paio di settimane, si curava con Bryonia 5CH. Consultato un omeopata, appena gli riferii la sintomatologia, mi chiese se la signora stesse prendendo Bryonia.
Un amico, con un forte mal di denti, ritenendo che fosse un dose unica, ingoiò un intero tubetto di granuli di Stafisagria 6CH, mentre avrebbe dovuto scioglierne in bocca soltanto due. Passò l’intera notte con coliche addominali e diarrea.
Del resto, da circa duecento anni, ogni omeopata che si rispetti si sottopone a rigorosa sperimentazione “a doppio cieco”, avendo così l’opportunità di constatare su se stesso l’effetto patogenetico almeno di un rimedio omeopatico. Lo stesso padre dell’omeopatia, Samuel Hanemann, iniziando dalla china, scoprì gli effetti patogenetici delle soluzioni di sostanze a dosi infinitesimali e dinamizzate, sperimentando prima su se stesso e poi anche sui familiari e sugli allievi.
Intanto i miei tre figli, che frequentavano le elementari, soffrivano spesso di tonsilliti follicolari, con febbri molto elevate e l’ultimo genito non tollerava nessun antibiotico.
Per farla breve, questa collega d’ufficio riuscì a convincere mia moglie - che ormai, seguendo i consigli di alcuni illustri docenti di pediatria, era decisa a farli operare di tonsillectomia - a ricorrere all’omeopatia.
Soprattutto perché ero contrario all’intervento chirurgico, per prendere tempo e avere la possibilità di provare con altri antibiotici, acconsentii che mia moglie accompagnasse i tre figli da una pediatra omeopata, raccomandandole, però, che non rivelasse che io ero medico. Ma, successivamente, mi resi conto che l’anamnesi omeopatica è così accurata che questa raccomandazione non aveva potuto essere seguita.
Nel frattempo il più piccolo aveva avuto un’otite purulenta con meningite ed era stato curato con successo dalla stessa pediatra omeopata con un rimedio omeopatico (l’intolleranza ali antibiotici di questo figlio mi indusse a rassegnarmi a quello che per me era un disperato tentativo).
Tuttavia né questo felice risultato né molti altri e neanche la risoluzione di una caso di grave insufficienza immunitaria in una bambina figlia di amici mi aveva convinto a prendere in seria considerazione l’omeopatia.
Quando, dopo alcuni mesi, in seguito alle insistenze di mia moglie, con una certa curiosità e aria di sufficienza, andai anche io dalla stessa omeopata, per una visita di controllo per i miei figli, rimasi piuttosto sorpreso nel vederla visitare come avrebbe fatto ogni bravo pediatra. Alla mia battuta, alquanto sarcastica: “Forse avrei dovuto fare un corso di omeopatia”, lei, senza batter ciglio, rispose: “Non è mai troppo tardi”.
L’anno successivo, sempre immunizzato da una solida corazza di scetticismo, mi iscrissi a un corso triennale. Finii per seguirlo puntualmente e con crescente interesse anche perché era possibile assistere alle visite del direttore.